Una recente sentenza del Consiglio di Stato ci stimola ad affrontare il delicato tema dell’invalidità delle operazioni elettorali.

Senza entrare nella specificità dell’argomento, che, dato l’elevato grado di tecnicità, potrebbe risultare noioso, ciò che ci si propone con questo articolo è evidenziare il principio generale applicabile.

Nel caso di specie alcuni candidati alle elezioni di un piccolo comune avevano impugnato avanti al Tar i risultati rilevando alcune pretese violazioni di norme elettorali.

Tra l’altro i ricorrenti avevano lamentato che molti elettori erano stati identificati per conoscenza personale e, quindi, senza l’indicazione del documento, identificazione non confermata da specifica firma da parte dello scrutatore.

Ci spieghiamo meglio, in effetti la legge consente di ammettere al voto anche un elettore privo di documento, ma conosciuto personalmente da uno dei componenti dell’ufficio elettorale, il quale deve certificare la conoscenza con una propria firma.

I ricorrenti lamentando la stranezza del fatto che su 239 donne votanti ben 199 erano state identificate per conoscenza personale, rilevavano che lo scrutatore non avrebbe provveduto ad apporre la propria firma per certificare la conoscenza personale dell’elettore.

In effetti i riquadri dei moduli elettorali riportano due colonne, una che riguarda l’accertamento dell’identità dell’elettore da riempire con gli estremi del documento dell’elettore stesso o, in caso di conoscenza personale, con l’annotazione “C.P.” (che sta per “conoscenza personale) e la firma del componente del seggio che certifica appunto la conoscenza, l’altra che riguarda l’attestazione dell’avvenuto voto. Per cui le firme dovevano essere due, ma così non era, infatti in molti casi veniva apposta solo la seconda firma e non la prima.

Sia il Tar che il Consiglio di Stato hanno rigettato il ricorso, infatti i Giudici hanno ritenuto che, essendo le due colonne adiacenti, la carenza di sottoscrizione da cui era affetta la prima colonna (quella della certificazione della conoscenza personale) doveva considerarsi supplita dalla sottoscrizione della colonna adiacente (quella della certificazione dell’avvenuto voto), stante il continuum fisico e senza soluzioni di continuità delle due colonne.

Tale soluzione è stata supportata anche dal principio generale, ed è quello che ci interessa, della strumentalità delle forme, nel senso che non tutte le irregolarità nelle operazioni di voto assumono rilevanza invalidante, ma solo quelle che sono tali da influire sulla sincerità e libertà di voto, dato che, come ricorda la sentenza, “la nullità delle operazioni può essere ravvisata solo quando manchino elementi o requisiti che impediscano il raggiungimento dello scopo cui l’atto è prefigurato, mentre non possono comportare l’annullamento di tali operazioni le mere irregolarità, ossia quei vizi da cui non deriva alcun pregiudizio sulle garanzie o compressione della libera espressione di voto”.

Pertanto i ricorsi dei candidati non eletti che facciano le pulci alle norme elettorali, sollevando questioni sulle formalità di voto, che non incidano realmente sugli elementi sostanziali della volontà e della libertà dell’elettore, sono destinati ad essere operazioni fallimentari che, peraltro, non giovano all’immagine di chi non si arrende alla propria sconfitta.

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