In tempo di maturità è di forte attualità una recentissima sentenza della Cassazione sui rapporti tra concussione ed induzione indebita in riferimento al comportamento di un professore che aveva imposto agli alunni l’acquisto di un libro di poesie.

Il caso: un professore di liceo aveva esplicitamente esortato o, meglio, imposto agli alunni di tre classi l’acquisto di un libro di poesie del padre dello stesso professore, minacciando che chi non lo avesse comprato non avrebbe avuto la sufficienza nella materia da lui insegnata.

La minaccia, in effetti, non fu presa molto sul serio tanto che un solo studente comprò il libro, ma il professore, realizzando quanto detto, mise solo a quello studente un voto sufficiente, nonostante non avesse neppure presentato la relazione richiesta dall’insegnante ed avesse scarsi risultati nelle altre materie; mentre tutti gli altri studenti, molti dei quali avevano un curriculum scolastico di tutto rispetto e votazioni ottime nelle altre materie, si trovarono un’insufficienza in pagella, nonostante avessero redatto e presentato la detta relazione.

Prima di entrare nel vivo della questione giuridica specifica, la Corte chiarisce che “la manifestazione esterna del giudizio sul grado di preparazione dell’allievo da parte dell’insegnante di una scuola statale, presenta un carattere pubblicistico, perché non ha uno scopo meramente informativo, ma costituisce un momento qualificante dell’attività istituzionale del docente”, pertanto il subordinare l’esito della votazione ad un qualsivoglia elemento non strettamente riguardante trasparenti criteri di valutazione, ma finalizzato ad un personale tornaconto, costituisce certamente illecito ed, a seconda delle modalità e circostanze, illecito penale.

E’ evidente, quindi, che un professore, il quale imponga ai propri alunni di comprare un libro, fatto rispetto al quale egli aveva un personale interesse essendo figlio dell’autore, per avere la sufficienza, ponendo in essere una minaccia-offerta (minaccia della insufficienza, in caso di rifiuto all’acquisto, ed offerta della sufficienza, in caso di acquisto), commette un illecito penalmente rilevante.

Tanto detto non resta che verificare se l’illecito configuri il reato di concussione o quello di induzione indebita.

Si ha concussione quando un pubblico ufficiale (nel caso il professore), abusando del suo status, costringe qualcuno a dare o promettere a lui o ad un terzo denaro o altra utilità (art.317 c.p.).

Si ha, invece, induzione indebita quando il pubblico ufficiale, sempre abusando del suo status, induce (e, quindi, non costringe) qualcuno a dare o promettere a lui o ad un terzo denaro o altra utilità.

Pertanto, la differenza tra le due ipotesi di reato sta proprio nel fatto che nel primo caso vi è una vera e propria costrizione, pertanto il soggetto passivo è fortemente limitato nella propria autodeterminazione, in quanto sottoposto ad una violenza o minaccia che lo porta necessariamente a dover sottostare alla illecita richiesta del pubblico ufficiale, mentre nel secondo caso non vi è costrizione, ma mera persuasione, eventualmente con suggestione o inganno.

Un ulteriore elemento di distinzione è dato dal fatto che nella concussione il soggetto passivo sottostà al “ricatto” per non subire un danno, mentre nella induzione indebita il soggetto passivo si “lascia convincere” per ottenere un vantaggio.

Come si potrà notare il confine è estremamente labile in alcuni casi, così come quello odierno dove vi è una minaccia-offerta, infatti l’acquisto del libro non solo impediva un danno (l’insufficienza), ma faceva ottenere allo studente un vantaggio (la sufficienza anche senza studiare).

La soluzione adottata dalla Suprema Corte è quella di configurare la concussione, dato che l’imposizione dell’acquisto, a fronte del danno costituito dall’insufficienza, appariva assolutamente preponderante rispetto alla mera persuasione mirata alla promessa della sufficienza.

Diciamo, quindi, ai nostri figli di studiare, i professori disonesti non fanno molta strada.

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