Il Giudice di Santa Maria Capua Vetere ha affrontato la tematica relativa al reato di maltrattamenti in famiglia, previsto e punito dall’art. 572 del Codice penale, quando i soggetti della vicenda non sono sposati.

Nel caso di specie l’imputato era accusato di aver tenuto continui comportamenti aggressivi, che sono sfociati in percosse e lesioni personali, nei confronti della compagna dalla quale aveva anche avuto un figlio.

In particolare, quando la ragazza aveva indossato una maglietta scollata veniva aggredita dall’imputato e le veniva strappato l’indumento di dosso; in una vacanza ai Caraibi le veniva lanciato un tavolino addosso solo perché un animatore del villaggio le aveva rivolto l’invito a bere qualcosa; durante una passeggiata in un centro commerciale veniva gettata in terra e trascinata per i capelli in quanto “rea” di non essersi posta al fianco del compagno, e così via.

Che vi siano stati maltrattamenti e lesioni non vi era dubbio, ma poteva essere configurato il reato di cui all’art. 572 del Codice Penale?

Detta norma, modificata di recente dalla L.172/2012, punisce chiunque maltratta una persona di famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione od arte.

Diciamo subito che la modifica del 2012 ha recepito quella che era ormai la costante giurisprudenza equiparando totalmente il convivente al coniuge, pertanto il matrimonio non è più necessario presupposto per la esistenza del reato.

Ma, in assenza di rapporto di coniugio, quali sono i presupposti per la tutela penale su detta?

Certamente deve sussistere quel carattere di legame familiare, sia pur non suggellato dal matrimonio, che , per intime relazioni e consuetudini di vita, fa sorgere un rapporto di reciproca assistenza e protezione, tale legame, di carattere stabile e duraturo, è certamente dimostrato dalla convivenza, che costituisce l’elemento più palese.

Esso può sussistere anche se cessa la convivenza nel caso di separazione dei coniugi, tra i quali permane comunque un vincolo, anche se attenuato, di assistenza materiale e morale, non altrettanto si può dire della separazione nella famiglia di fatto, dato che la cessazione della convivenza dimostra il venir meno di quell’affectio che reggeva l’unione, ma, anche in questo caso, non si può escludere la sussistenza, a determinate condizioni, della prosecuzione di un rapporto volontario di reciproca assistenza.

Riassumendo, il presupposto per la tutela di cui all’art. 572 Codice Penale è un legame affettivo di reciproca assistenza e protezione, assimilabile ad un rapporto familiare.

Nel caso di specie il Giudice ha escluso tale presupposto, infatti i due soggetti non avevano mai convissuto e la insussistenza di un legame affettivo di reciproca assistenza e protezione doveva escludersi in quanto i due avevano continuato a vivere con i rispettivi genitori, anche dopo la nascita del figlio, scelta questa conseguente non a motivi di carattere economico ma ad una instabilità del rapporto; l’arrivo del pargolo era stata vissuta più come un problema che come l’effetto di un esito voluto, tanto che il padre non ha mai proceduto al riconoscimento né contribuito la mantenimento; sia l’imputato che la vittima erano persone giovani e legate alle proprie famiglie di origine, piuttosto che portate a costruire un progetto di vita insieme.

Insomma di famiglia, neppure di fatto, non si poteva proprio parlare.

La decisione appare condivisibile ed in linea con la costante giurisprudenza, che ha portato, come detto, alla modifica legislativa nel 2012.

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