Il tema affrontato dalla Cassazione è quello della truffa contrattuale, che avviene quando qualcuno, nell’ambito di un rapporto contrattuale, “con artifizi e raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno” (art.640 c.p.).
Il caso di specie riguardava un commercialista che, pur avendone avuto l’incarico, non solo non provvedeva ad effettuare gli adempimenti fiscali del cliente, ma riferiva a quest’ultimo che detti adempimenti erano stati tempestivamente eseguiti, inducendolo, quindi, a rinnovare l’incarico per l’anno successivo con il versamento di un acconto per gli onorari maturandi.
Il professionista veniva giustamente condannato avendo i Giudici ravvisato pienamente i presupposti del reato, infatti l’artifizio e raggiro era consistito nell’aver falsamente affermato che gli adempimenti fiscali, per i quali aveva ricevuto incarico, erano stati correttamente eseguiti e, quindi, nell’aver indotto il cliente in errore nel conferirgli un nuovo incarico, appunto sul presupposto del corretto svolgimento del precedente mandato, con l’ingiusto profitto consistente nell’incasso dell’acconto per gli onorari maturandi ed il conseguente danno del povero cliente consistente nell’aver pagato un onorario che, se fosse stato edotto della verità, non avrebbe mai corrisposto.
Non sempre però la truffa contrattuale è di facile soluzione, dato che il confine tra l’inadempimento puro e semplice e la truffa vera e propria, che presuppone un artifizio e raggiro, è estremamente labile.
Ad esempio, non può essere ravvisato il reato nel caso in cui il professionista che riceve un incarico ed un acconto non svolga l’incarico stesso e tergiversi nel restituire l’acconto al cliente adducendo motivazioni inveritiere, dato che l’artifizio e raggiro deve essere antecedente all’ingiusto profitto e non successivo; in questo caso si è di fronte ad un semplice inadempimento contrattuale con mere conseguenze civilistiche.